Tamping e distribuzione: due gesti fondamentali dell’espresso, spesso fraintesi. In questo articolo vediamo cosa conta davvero secondo dati e test.
Il tamping è uno dei gesti più discussi nella preparazione dell’espresso. Quanto forte bisogna pressare? Serve davvero un WDT tool? La risposta è meno intuitiva di quanto si pensi — e la scienza ha qualcosa da dire.

Un gesto apparentemente semplice
Il portafiltro è pieno di caffè macinato. Lo guardi, prendi il tamper, pressi.
È un gesto che sembra naturale. Eppure genera più domande di quasi qualsiasi altro passaggio nella preparazione dell’espresso.
Quanto forte devo premere? Serve davvero tutta quella pressione? E la distribuzione prima del tamp — è essenziale o è solo un rituale da barista professionista?
Sono domande che chiunque si è posto almeno una volta. E le risposte, spesso, sono contraddittorie.
C’è chi dice di pressare con 15 chili di forza. Chi dice 30. Chi dice che non importa affatto.
Allora abbiamo cercato i dati. Il Coffee Science and Education Centre ha condotto una serie di test proprio su questo. E quello che emerge è sorprendente.
Il mito della pressione
Una delle convinzioni più radicate è che pressare forte migliori l’estrazione.
Più pressione, caffè più compatto, estrazione più lenta, gusto migliore. Sembra logico.
Ma i test dicono altro.
Usando un tamper automatico calibrato — che applica sempre la stessa pressione esatta — sono stati estratti gruppi di espresso a 10, 20 e 30 chili di forza.
Il risultato? Nessuna differenza misurabile.

I tempi di estrazione erano identici. La consistenza da shot a shot era la stessa. Il gusto non cambiava.
Pressare più forte non rende il caffè migliore.

Allora perché si pressa?
Se la pressione non conta, a cosa serve il tamping?
Serve a rimuovere le sacche d’aria.
Quando il caffè cade nel filtro, non si distribuisce in modo uniforme. Ci sono zone più dense e zone più vuote. Se l’acqua trova un passaggio facile — una di queste sacche — lo attraversa velocemente, ignorando il resto del caffè.
È quello che si chiama channeling: l’acqua sceglie la via più semplice, estrae in modo disomogeneo, e il risultato in tazza è sbilanciato.
Il tamping elimina queste sacche. Crea una superficie compatta e uniforme, costringendo l’acqua a passare attraverso tutto il letto di caffè.
Non serve forza. Serve uniformità.
Quello che conta davvero: il livello

Se la pressione non fa differenza, c’è un altro fattore che invece la fa. Ed è enorme.
Il livellamento.
Quando il tamper non è perfettamente orizzontale, l’acqua trova un lato del pannello di caffè più sottile dell’altro. Passa da lì, estrae male, crea channeling.
I test sono chiari: estrazioni fatte con un tamp inclinato di 10 o 20 gradi mostrano flussi irregolari, segni evidenti di channeling nel caffè usato, e un gusto peggiore nelle degustazioni alla cieca.
Più l’angolo aumenta, più il problema si aggrava.
La conclusione è semplice: non importa quanto forte premi. Importa che premi dritto.
La distribuzione: serve davvero?
Prima del tamp, molti baristi distribuiscono il caffè nel filtro. Alcuni usano le dita, altri strumenti dedicati. L’idea è preparare il terreno, livellare i grani prima di comprimerli.

Ma funziona?
Sono state testate diverse tecniche: il classico colpetto sul lato del portafiltro, la tecnica Stockfleth (un movimento circolare con pollice e indice), strumenti come l’OCD (Ona Coffee Distributor) — un distributore con alette che ruota nel filtro — e anche nessuna distribuzione.
I risultati sono meno netti di quanto ci si aspetterebbe.
Le differenze nei tempi di estrazione erano minime. Alcune tecniche — come colpire ripetutamente il portafiltro sul banco — allungavano leggermente l’estrazione, probabilmente perché le particelle fini migravano verso il basso, rallentando il flusso.
Ma la cosa più interessante è che l’estrazione senza alcuna distribuzione era meno consistente da shot a shot.
Non c’era un vincitore chiaro. Ma c’era un perdente: non fare nulla.
WDT: cos’è e serve davvero?
WDT sta per Weiss Distribution Technique, dal nome di John Weiss, un appassionato di caffè che nel 2005 condivise la sua idea sul forum Home-Barista.
L’intuizione era semplice: usare aghi sottili per rompere i grumi nel caffè macinato e distribuire le particelle in modo uniforme prima del tamp.
Weiss usava stuzzicadenti o aghi da agopuntura infilati in un tappo di sughero. Un oggetto artigianale, quasi improvvisato. Ma funzionava.
Da quel post su un forum, la tecnica si è diffusa in tutto il mondo. Oggi esistono WDT tool commerciali — eleganti, in metallo, con aghi calibrati — che costano anche decine di euro.
Funziona? In teoria sì, soprattutto con macinacaffè domestici che producono grani più grumosi rispetto ai modelli professionali.
Ma non è indispensabile.
I test mostrano che tecniche semplici — come un paio di colpetti con il palmo della mano sul lato del portafiltro — danno risultati comparabili.
Se hai un buon macinacaffè a macine, i grumi saranno già pochi. Se hai un macinino domestico più economico, il WDT può aiutare. Ma non è magia.
È uno di quegli strumenti nati dalla passione di un singolo appassionato e diventati, vent’anni dopo, un piccolo fenomeno globale. La storia del caffè specialty è piena di storie così.
La tecnica corretta
Veniamo alla pratica. Come si fa un buon tamp?
Impugnatura
Tieni il tamper come una racchetta da tennis o un microfono. Quattro dita attorno al manico, pollice sulla base come supporto.
Non impugnarlo come un timbro. È una ricetta per dolori al polso.
Posizione
Appoggia il portafiltro su una superficie stabile. Mettiti di lato rispetto al banco, solleva il gomito, tieni il polso dritto.
La pressione deve venire dalla spalla, non dal polso.
Pressione
Non serve forza. Una pressione gentile, sufficiente a schiacciare un kiwi maturo, è più che abbastanza.
Premi finché senti resistenza, poi fermati.
Controllo
Alcune persone appoggiano le dita sul bordo del filtro mentre pressano. Questo aiuta a sentire se il tamper è livellato.
Guarda la connessione tra tamper e bordo del cestello. Deve essere uniforme tutto intorno.
Errori da evitare

Battere il portafiltro dopo il tamp
Molti lo fanno per staccare il caffè dalle pareti del filtro. È un errore.
Il colpo può creare microfratture nel pannello di caffè, aprendo vie preferenziali per l’acqua. Il channeling diventa più probabile, non meno.
Se il problema è il caffè attaccato ai bordi, la soluzione è un tamper leggermente più grande, che arrivi fino al bordo del cestello.
Ruotare il tamper
Alcuni aggiungono una rotazione finale per “lucidare” la superficie. Non fa danni, ma non serve a nulla.
Se prepari decine di caffè al giorno, è un movimento in più che si accumula. Meglio eliminarlo.
Usare il tamp per correggere l’estrazione
Se l’espresso scende troppo veloce o troppo lento, la tentazione è cambiare la pressione del tamp.
Non funziona. Come abbiamo visto, la pressione non cambia i tempi di estrazione.
Il problema è quasi sempre la macinatura. Regola il macinino, non il tamp.
Un protocollo semplice
Ecco una sequenza efficace, usata in molte scuole di formazione per baristi.
Macina il caffè direttamente nel portafiltro.
Pesa la dose per assicurarti di usare sempre la stessa quantità.
Distribuisci con un paio di colpetti leggeri sul lato del cestello.
Pressa con fermezza, in modo uniforme e livellato.
Pulisci il bordo del portafiltro prima di inserirlo nella macchina.
Estrai.
Non servono strumenti costosi. Non servono rituali elaborati. Serve costanza.
La verità semplice
Il tamping non è arte. Non è scienza esoterica. È un gesto pratico con un obiettivo chiaro: creare un letto di caffè uniforme e compatto.
La pressione conta meno di quanto si pensi.
Il livellamento conta più di quanto si creda.
La distribuzione aiuta, ma non richiede strumenti costosi.
La costanza è tutto.
Ogni volta che pressi il caffè nello stesso modo, con la stessa attenzione, stai costruendo le condizioni per un’estrazione equilibrata. Non perfetta — la perfezione non esiste — ma ripetibile.
E la ripetibilità, nel caffè come in molte altre cose, è il primo passo verso la qualità.
I dati sui test di tamping e distribuzione citati in questo articolo provengono dalle ricerche del Coffee Science and Education Centre.
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