La storia dell’espresso italiano è una storia di dimenticanze e rivincite.
Per decenni abbiamo creduto che l’espresso fosse nato a Milano nel 1901, grazie a Luigi Bezzera. Ma la verità è più complessa, più affascinante, più ingiusta.
Dietro quella tazzina cremosa ci sono tre uomini, tre momenti storici, e una storia fatta di brevetti dimenticati, intuizioni geniali e riconoscimenti mancati. Angelo Moriondo a Torino nel 1884, che tutti hanno dimenticato. Luigi Bezzera a Milano nel 1901, che tutti ricordano. Achille Gaggia nel 1947, che ha creato l’espresso come lo conosciamo oggi.
Questa è la vera storia. Non quella semplificata dei libri. Quella vera.
Prima dell’espresso: il problema della lentezza
Siamo nell’Italia di fine Ottocento. I caffè sono luoghi di incontro, discussione, vita sociale. Ma il caffè—la bevanda—richiede tempo.
Troppo tempo.
Il metodo tradizionale prevede acqua bollente versata lentamente sulla polvere di caffè, goccia dopo goccia. Per preparare una tazza servono 5-10 minuti. Per servire dieci clienti, oltre un’ora.
A Napoli si erano sviluppati metodi alternativi come la cuccumella, ma richiedevano comunque tempo e attenzione.
I gestori dei caffè hanno un problema: la clientela cresce, i ritmi della città accelerano, ma il caffè resta lento. Terribilmente lento.
E lento, nell’Italia industriale di fine secolo, significa perdere soldi.
Serviva una soluzione. Qualcuno doveva inventarla.
Torino, 1884: l’uomo che tutti hanno dimenticato
Angelo Moriondo gestiva un elegante caffè nel centro di Torino.
Il Grand-Hotel Ligure e la Caffetteria Americana, per la precisione. Due locali frequentatissimi, dove la clientela faceva la fila. E la fila significava attesa. E l’attesa significava clienti che se ne andavano.
Moriondo era un imprenditore, ma anche un inventore. Non si accontentava di gestire, voleva migliorare. Voleva velocità.
Nel 1884 depositò un brevetto presso l’Ufficio Brevetti del Regno d’Italia. Brevetto numero 33/256, rilasciato il 16 maggio.
Il titolo? “Nuovi apparecchi a vapore per la confezione economica ed istantanea del caffè in bevanda”.
La macchina si chiamava “La Brasiliana”.
Era grande, imponente. Una caldaia di rame a forma di campana. Un meccanismo a vapore che riscaldava l’acqua e la spingeva attraverso un letto di caffè macinato, posto in un filtro metallico.
Il risultato? Caffè pronto in pochi secondi invece che in minuti.
Angelo Moriondo aveva appena inventato la prima macchina per caffè espresso.
Perché nessuno lo ricorda?
Per decenni si è creduto che Moriondo non volesse vendere la sua macchina, che la tenesse gelosamente nei suoi caffè.
Non è vero.
Ricerche recenti (2021) hanno trovato cartoline pubblicitarie con la scritta “Catalogo su richiesta”. Moriondo vendeva macchine. Ne furono prodotte diverse. C’era persino un partner in Spagna.
Ma non aveva Desiderio Pavoni. Non aveva una rete commerciale. Non aveva la forza di conquistare il mercato.
La macchina rimase confinata a Torino. Non per egoismo. Per mancanza di visione industriale.
Milano, diciassette anni dopo, ebbe quella visione. E Moriondo scomparve dalla storia.
Milano, 1901: Luigi Bezzera e il portafiltro
Diciassette anni dopo, a Milano, un altro uomo ebbe la stessa intuizione.
Luigi Bezzera era un ingegnere e imprenditore. Anche lui gestiva un’attività. Anche lui aveva il problema della lentezza. Anche lui voleva risolverlo.
Il 19 dicembre 1901 depositò il brevetto numero 153/94, successivamente registrato come 61707 il 5 giugno 1902.
Il titolo: “Innovazioni negli apparecchi per preparare e servire istantaneamente il caffè in bevanda”.
La macchina di Bezzera era simile a quella di Moriondo: caldaia, vapore, estrazione rapida.
Ma c’era una differenza fondamentale.
L’innovazione: il portafiltro removibile
Moriondo aveva creato una macchina monolitica. Il caffè veniva inserito in un filtro fisso, difficile da pulire, scomodo da gestire.
Bezzera inventò il portafiltro removibile.
Un componente estraibile che conteneva il caffè macinato, facilmente sostituibile tra un’estrazione e l’altra. Questo permetteva di preparare più caffè in sequenza, velocemente, senza fermarsi.
Era un’idea semplice. Ma geniale.
Bezzera produsse le prime macchine nella sua officina in Via Volta, nel centro di Milano. Funzionavano. Funzionavano bene.
Ma Bezzera non era un commerciante. Era un inventore.
E qui entra in scena Desiderio Pavoni.
1902: Desiderio Pavoni e la produzione in serie
Nel 1902, Desiderio Pavoni comprò il brevetto di Bezzera.
Pavoni aveva visione commerciale. Capì subito che quella macchina poteva rivoluzionare i bar italiani. Non solo a Milano. Ovunque.
Fondò la ditta La Pavoni e iniziò la produzione in serie della macchina, che battezzò “Ideale”.
Una piccola officina in Via Parini a Milano divenne il primo stabilimento di macchine per espresso al mondo.
Nel 1906, alla Fiera di Milano, Pavoni presentò pubblicamente la macchina.
Fu un successo immediato.
Nasce il termine “caffè espresso”
Fu proprio Desiderio Pavoni, alla Fiera del 1906, a usare per la prima volta il termine “caffè espresso” in riferimento al caffè istantaneo.
Espresso perché veloce. Espresso perché preparato al momento. Espresso per il cliente, lì, subito.
Il nome conquistò l’Italia.
I manifesti pubblicitari dell’epoca—come quello celebre di Leonetto Cappiello per La Vittoria—mostravano il caffè espresso come simbolo di modernità, velocità, progresso.
Milano divenne la capitale dell’espresso. Bezzera divenne famoso. Pavoni costruì un impero.
E Moriondo? Dimenticato.
Il problema: non era ancora “vero” espresso
Ma c’era un problema.
Il caffè prodotto dalle macchine a vapore di inizio Novecento era molto diverso da quello che beviamo oggi.
Era amaro. Troppo amaro. Spesso bruciato. Poco corposo. Senza crema.
Il vapore—usato per spingere l’acqua—raggiungeva temperature troppo alte. Questo bruciava il caffè, estraeva note amare, distruggeva gli aromi delicati.
Il risultato era una bevanda veloce, sì, ma lontana dalla perfezione.
Serviva un’altra rivoluzione. Serviva qualcuno che capisse che il vapore non bastava.
Serviva pressione. Vera pressione.
1936-1947: Antonio Cremonese e Achille Gaggia
Nel 1936, Antonio Cremonese depositò un brevetto rivoluzionario.
Brevetto numero 343230: “Rubinetto a stantuffo per macchina da caffè espresso”.
Cremonese abbandonò il vapore. Introdusse un sistema a pistoni. Un meccanismo che spingeva l’acqua attraverso il caffè non con il calore, ma con la pressione meccanica.
Era l’idea giusta. Ma Cremonese morì lo stesso anno.
Il brevetto passò alla vedova, la signora Rosetta Scorza.
Entra Achille Gaggia
Achille Gaggia era un barista milanese con la mente di un ingegnere.
Acquistò il brevetto di Cremonese e si mise al lavoro. Non per copiarlo. Per perfezionarlo.
Nel 1938 depositò un nuovo brevetto: il numero 365726, per il “procedimento a torchio”.
Nel 1947 arrivò la vera svolta.
Gaggia registrò un secondo brevetto introducendo la leva.
Una leva manuale che, azionata dal barista, spingeva un pistone. Il pistone comprimeva l’acqua calda e la forzava attraverso il caffè macinato a una pressione di 9-10 atmosfere.
Non vapore. Pressione idraulica. Controllata. Costante.
Nasce la crema
Il risultato fu sorprendente.
Per la prima volta nella storia, sull’espresso comparve uno strato denso di schiuma color nocciola.
La crema.
Era composta da oli emulsionati, microparticelle di caffè sospese, anidride carbonica intrappolata. Era vellutata, persistente, aromatica.
Non era solo bella da vedere. Cambiava il sapore, la texture, l’esperienza.
Il caffè di Gaggia non era amaro. Non sapeva di bruciato. Era dolce, complesso, bilanciato.
Era il primo vero espresso moderno.
Gaggia chiamò la sua bevanda “crema caffè espresso”.
Il successo fu immediato e travolgente.
La macchina che ha fatto la storia
Le macchine Gaggia conquistarono l’Italia. Poi l’Europa. Poi il mondo.
Divennero lo standard. Tutte le macchine espresso moderne derivano dal progetto di Gaggia.
La leva. I 9 bar. La crema.
Tutto quello che oggi chiamiamo “espresso” nasce da quell’invenzione del 1947.
Tre uomini, tre invenzioni, tre momenti
Allora, chi ha inventato l’espresso?
La risposta dipende da cosa intendiamo per “espresso”.
Angelo Moriondo (1884, Torino)
Inventò la prima macchina per caffè istantaneo.
Fu il primo a usare vapore e pressione per accelerare l’estrazione. Il primo a brevettare una macchina per preparare caffè in pochi secondi.
Ma la sua macchina rimase confinata a Torino. Nessuno la conobbe. Nessuno la replicò.
Luigi Bezzera (1901, Milano)
Inventò il portafiltro removibile.
Rese la macchina pratica, commerciale, utilizzabile nei bar. Permise la produzione in serie.
Grazie a Desiderio Pavoni, la sua invenzione conquistò l’Italia. Il termine “caffè espresso” nacque da qui.
Ma il caffè era ancora amaro, bruciato. Non c’era crema.
Achille Gaggia (1947, Milano)
Inventò l’espresso moderno.
Abbandonò il vapore. Introdusse la pressione idraulica. Creò la crema. Perfezionò sapore, aroma, texture.
L’espresso che beviamo oggi è quello di Gaggia.
Perché la confusione?
Perché per decenni si è detto che Bezzera ha inventato l’espresso nel 1901?
Tre ragioni.
1. Marketing e memoria collettiva
Pavoni fece conoscere Bezzera al mondo. Le sue macchine erano ovunque. I manifesti pubblicitari raccontavano la storia dell’invenzione milanese del 1901.
Moriondo non fece marketing. Rimase nell’ombra.
2. Milano vs Torino
Milano, nel Novecento, era il centro industriale d’Italia. Torino era importante, ma Milano dominava la narrativa.
Proprio a Milano, nel 1933, Alfonso Bialetti avrebbe creato un’altra rivoluzione: la moka, portando il caffè espresso (seppur diverso) nelle case di tutti gli italiani.
La storia dell’espresso divenne una storia milanese. Torino venne cancellata.
3. La definizione di “espresso” è cambiata
Nel 1906, “espresso” significava solo “veloce”. Qualsiasi caffè preparato rapidamente con una macchina.
Nel 1947, “espresso” assunse il significato moderno: caffè estratto a 9 bar, con crema, in 25-30 secondi.
Sono due cose diverse. Ma usiamo la stessa parola.
Una rivoluzione italiana
Oggi, quando ordini un espresso al bar, stai bevendo il risultato di 63 anni di invenzioni, tentativi, perfezionamenti.
Da Moriondo a Bezzera. Da Bezzera a Gaggia.
Da Torino a Milano. Dal vapore alla pressione. Dall’amaro alla crema.
È una storia fatta di uomini che volevano risolvere un problema semplice: preparare un buon caffè, velocemente.
E ci sono riusciti.
Hanno creato una delle bevande più iconiche al mondo. Un simbolo del Made in Italy. Una tazzina che si beve in pochi secondi ma che porta con sé oltre un secolo di ingegno italiano.
La prossima volta che bevi un espresso, ricorda Angelo Moriondo.
Ricorda che tutto è iniziato a Torino, nel 1884, in un caffè che non c’è più.
E che la storia vera è sempre più interessante di quella che conosciamo.
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