Arabica vs robusta: due caffè molto diversi che spesso beviamo senza saperlo. Conoscerne origine, gusto e usi ti aiuta a scegliere meglio ogni giorno.
Due piante, due caffè diversi
In Italia parliamo di “caffè” come se fosse uno solo. Ma dietro ogni tazzina c’è una scelta tra due varietà che cambiano tutto: arabica e robusta. Insieme coprono oltre il 90% della produzione mondiale. Capire cosa le distingue aiuta a scegliere meglio.

Le origini
L’arabica (Coffea arabica) nasce sugli altopiani dell’Etiopia, dove cresceva spontanea già nel IX secolo. Dallo Yemen si è diffusa nel mondo ed è diventata la base del caffè moderno.

La robusta (Coffea canephora) è stata scoperta in Congo alla fine dell’Ottocento. Si è affermata per la sua resistenza: cresce dove l’arabica non sopravvive.
Come crescono
L’arabica richiede condizioni precise: altitudini tra 600 e 2.000 metri, clima fresco, piogge regolari, ombra. È vulnerabile a funghi, parassiti e gelate.
La robusta si adatta. Cresce fino a 800 metri, tollera caldo e siccità, resiste alle malattie, produce di più.

L’arabica copre circa il 60% della produzione mondiale, la robusta il 40%. Ma in termini di resa per ettaro, la robusta vince.
In Italia le miscele tradizionali usano entrambe: arabica per l’aroma, robusta per il corpo e la crema.
Il gusto

E la differenza, in tazza, è netta.
L’arabica ha acidità vivace, note che vanno dalla frutta al cioccolato al miele. Contiene meno caffeina (1,2-1,5%) ma più zuccheri e lipidi. Un’arabica etiope sa di bergamotto, una colombiana di cacao. Il profilo cambia con l’origine.
La robusta è più diretta: corpo pieno, amarezza marcata, note legnose o terrose. Più caffeina (fino al 2,7%), meno sfumature. In tazza dà struttura e crema densa, ma può seccare il palato.
L’arabica ha 44 cromosomi, la robusta 22. Non è un caso: l’arabica nasce dall’incrocio naturale di due specie diverse (tra cui un antenato della robusta). Quel patrimonio genetico doppio si traduce in un profilo aromatico più complesso.
Nelle miscele italiane per espresso, la robusta aggiunge intensità. Senza di lei, molti caffè risulterebbero troppo leggeri per il palato italiano.
Pregi e limiti
L’arabica offre aromi superiori e meno amarezza. È la scelta per i caffè specialty e i metodi filtro. Ma costa di più, è fragile e in espresso produce meno crema.
La robusta è economica, resistente e dà corpo alle miscele. Ma il gusto è meno raffinato e la caffeina elevata non è per tutti.

Nessuna delle due è migliore in assoluto: dipende da come bevi il caffè.
Negli ultimi anni anche la robusta sta migliorando: varietà lavorate con cura, come la “robusta fine”, dimostrano che può essere pulita e interessante.
Dove si coltivano
L’arabica domina i mercati specialty: Colombia, Etiopia, Kenya, con varietà come Bourbon, Typica, Geisha.

La robusta viene da Vietnam (primo esportatore mondiale), Brasile, Indonesia, Uganda. È la base di molti caffè industriali e solubili.
In Italia le torrefazioni artigianali stanno puntando sempre più sulle arabica pure, ma le miscele con robusta restano lo standard per l’espresso da bar.
Quale scegliere
Dipende da come prepari il caffè.
Espresso al bar o a casa: una miscela con robusta dà crema stabile e corpo. È il gusto italiano classico.
Moka: arabica pura per un caffè più morbido, oppure una miscela bilanciata se preferisci più struttura.
Filtro, V60, Chemex, cold brew: arabica al 100%. Questi metodi esaltano le note fruttate e floreali, non serve la forza della robusta.
Specialty coffee: quasi sempre arabica, spesso monorigine. È il modo migliore per esplorare sapori diversi.
Se non hai mai provato un’arabica pura dopo anni di miscele, la differenza ti sorprenderà.
Oltre il gusto
Arabica e robusta non sono solo questione di sapore. L’arabica sostiene piccole piantagioni in zone fragili di montagna. La robusta permette a coltivatori in climi difficili di lavorare con rese migliori. Entrambe affrontano la sfida del cambiamento climatico, che sta riducendo le aree coltivabili.
La prossima tazzina, sceglila sapendo cosa c’è dentro.
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